In preparazione allo spettacolo di questa sera, 23 giugno, in Piazza Vittorio Emanuele II a Osnago riproponiamo la bella recensione scritta da Roberto Castelli.
Quando hai talento e una bella storia da raccontare, fare teatro sembra sia una cosa facilissima, ma non è così semplice.
La storia potrebbe rimanere bella, ma se non sai calarti nei personaggi e se non sai offrire a chi ti ascolta i risvolti di quelle anime che scorrono nel racconto, la storia non prende vita.
Invece questa sera, ho vissuto un qualcosa che ci si è spalmato addosso, nel cuore e nel pensiero.. su quel palco spoglio si sono disegnate le montagne del confine con la Svizzera, si è visto il lago di Como e quello di Lugano, si sono sentite le grida dei finanzieri, financo si è sentito il profumo di pane e formaggio e di un buon bicchiere di vino.
Una storia semplice di gente semplice, di quel contrabbando romantico di un tempo che era tale perché contrapponeva il rischio alla fame, la lealtà personale ad una storia nemica di persone al limite come quel confine su cui vivevano.
Quando si era piccoli la prima cosa che insegnavano era dove si trovava il confine, quello materiale, perché quel confine sarebbe stato la vita o la morte per molti, quello morale, perché anche in una vita inevitabilmente sbagliata c’è un’etica, una regola morale da rispettare.
Uomini che sapevano che nel giusto c’era qualcosa di sbagliato e in ciò che era sbagliato c’era qualcosa di inevitabile per vivere.. e così si incontravano a metà strada i drammi di chi doveva fuggire con quelli di chi doveva inseguire e i nostri attori ce lo hanno raccontato davvero bene.
La mimica, il talento musicale, l’intensità interpretativa ci hanno fatto ridere e ci hanno fatto pensare, dal silenzio assoluto si passava alla risata di gusto per tornare in un attimo al pensiero e a quella voglia di salire sul palco per entrare nella storia e dare una mano a portare quella bricolla, a sostenere il passo claudicante del vecchio nonno, a dare una mano a nascondersi a chi fuggiva.
Sul palco due attori ad interpretare un intero mondo, dialetti diversi e azioni diverse ma nate da bisogni analoghi, figli di quel mondo usciti dal libro che ogni tanto scorrevano per dirci di non dimenticare mai, per dirci con le foto contenute che quelle persone avevano un volto e in quella sembianza dovevamo trasfigurare i visi di Marco Continenza e di Gian Battista Galli.
Il Giamba è per me conosciutissimo, artista poliedrico, attore e cantante (cantautore) dai mille volti e dalle mille emozioni raccontate in parole e in musica, un caleidoscopio di vocalità elargite in abbondanza e rese ancora più belle dalla sua voce che arrivava a noi in piena naturalezza, senza orpelli elettronici.. così come anche quella di Marco Continenza, per me una bellissima scoperta.
Marco ti porta sui vertici della spensieratezza, per poi riportarti in un attimo alla concretezza della storia che sta raccontando, in un gioco di ilarità e di scambi intensi di narrazione con il Giamba.
La storia va dalla fine del settecento per arrivare alla fine della seconda guerra mondiale, una storia di resistenza alla povertà a cui quella gente sembrava condannata dalla nascita e dal fato, una storia di guardie e ladri uniti dalle pallottole e dalle fughe, dove chi scappa cerca di vivere e chi insegue… pure.
E forse uniti più dalla voglia di abbracciarsi e condividere pensieri dolori e preoccupazioni con la stessa avversione verso chi li ha costretti a quei ruoli che magari in altri contesti avrebbero potuto invertirsi, che non divisi, nel loro fuggire e inseguire.
Una bella storia: ”Con la luna sulle spalle”. Andatelo a vedere se passa dalle vostre parti, ma se anche è un poco più lontano, uniteci una pizza e una buona birra e ne varrà ancora di più la pena.